I Giardini Reali di Venezia hanno origine all’interno del progetto di riforma napoleonica dell’Area Marciana con la decisione, sancita l’11 gennaio 1807 dal decreto di Napoleone Bonaparte, di destinare le Procuratie Nuove a sede del Palazzo della Corona.
L’architetto Giovanni Antonio Antolini, chiamato a Venezia nel 1806, presentò i primi progetti per la residenza: una nuova costruzione affacciata sul Bacino di San Marco, che non verrà realizzata, e un giardino nello spazio tra le Procuratie e la Laguna, al posto dei trecenteschi granai di Terranova.
Il Viceré Eugène de Beauharnais cambiò l’impostazione di Antolini optando per la costruzione di un nuovo edificio monumentale: la cosiddetta Ala Napoleonica, che avrebbe occupato nella piazza l’area della chiesa di San Geminiano. Mantenne invece la proposta del giardino, che permetteva di aprire un rapporto visivo e diretto con il Bacino di San Marco.
Demoliti i granai e le botteghe presenti in loco, nel 1810 l’architetto Giuseppe Maria Soli avviò i primi interventi nel giardino con la costruzione di una balaustra di pietra e di un ponte in legno per consentirne l’accesso dal Palazzo.
Dopo il ritorno degli Austriaci nel 1814, direttore dei lavori del Palazzo Reale divenne l’architetto Lorenzo Santi (1783–1839). Nato a Siena, si era formato a Roma dove aveva incontrato Canova che nel 1809 fece il suo nome per seguire i lavori della residenza veneziana quale disegnatore.
Nel 1815 il giardino venne isolato dalla città con la demolizione dei ponti sul rio della Luna, interrompendo così il collegamento con calle Vallaresso, mentre fu confermato l’accesso diretto dal palazzo con un ponte levatoio sul rio interno, permettendo quindi anche il transito delle gondole. L’intera area venne perimetrata con una balaustra di pietra, e nel 1816, tra il giardino e la riva che conduce alla Piazzetta di San Marco, fu collocato un maestoso cancello di ferro realizzato dai fabbri Pietro Acerboni e Daniele Pellanda.
Santi diede forma compiuta al giardino delineando un viale alberato affacciato sul Bacino di San Marco, parterres geometrici “all’italiana” e due boschetti “all’inglese” alle estremità, i cui alberi, piante fiorite e agrumi in vaso provenivano dal Parco Reale di Stra.
Tra il 1815 e il 1817 l’architetto costruì infine una serra sul ponte della Zecca e, a conclusione prospettica del nuovo viale, un nuovo padiglione neoclassico, il Cafehaus, le cui elaborate decorazioni scultoree furono terminate nel 1819.
A metà Ottocento l’impianto geometrico delle aiuole venne sostituito da un disegno a linee sinuose, secondo una moda “all’inglese” allora prevalente in tutta Europa, che sostanzialmente rimarrà invariato fino alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Nel 1857 l’Imperatore Francesco Giuseppe, nel tentativo di riconquistare la benevolenza dei veneziani dopo le dure repressioni seguite alla rivoluzione del 1848-49, concesse a uso pubblico il viale che costeggia il Bacino. Ne conseguì la necessità di separare, con una lunga cancellata di ferro, il giardino rimasto riservato alla Corte dal viale ora diventato pubblico.
A segnare la nuova entrata dei Giardini venne dunque riposizionato il cancello che dal 1816 ne limitava l’accesso dal ponte della Zecca: il suo carattere monumentale fu accentuato da due nuovi pilastri in pietra sormontati da aquile imperiali, che saranno poi rimosse con l’entrata di Venezia nel Regno d’Italia. Anche il pergolato in ferro e ghisa, che attraversa il giardino longitudinalmente, fu allora concepito per offrire una passeggiata ombreggiata e privata, in sostituzione di quella che in precedenza era costituita dal viale alberato lungo il Bacino. Si adattò a questo scopo una “strada coperta” provvisoria, che era stata realizzata per accogliere i sovrani nel novembre 1856. Il Padiglione di Lorenzo Santi, usato fino a quel momento in estate come luogo di ricreazione per la Corte e in inverno come serra, fu aperto al pubblico come “esercizio di caffè”.
La concessione all’uso pubblico del viale, revocata nel 1861 dall’imperatrice Sissi, venne riconfermata dai Savoia nel 1866. L’accesso dalla Piazzetta di San Marco al viale fu assicurato da un ponte in ferro a filo d’acqua sul rio della Zecca, inaugurato soltanto nel 1872, mentre il collegamento tra il giardino e il palazzo continuò a essere garantito dal ponte levatoio, ricostruito nel 1893 con una struttura in ferro tuttora presente.
L’uso del giardino cambiò radicalmente dopo la Prima guerra mondiale: il 23 dicembre 1920 i Giardini Reali, tra i beni ceduti dalla Corona al Demanio dello Stato, furono assegnati al Comune di Venezia e interamente aperti al pubblico. Il Comune, pur conservandone l’impianto sinuoso, modificò leggermente il disegno delle aiuole per facilitare la circolazione delle persone e studiò varie ipotesi per un accesso al giardino da Piazza San Marco attraverso l’ex Palazzo Reale. Venne scelta la soluzione più semplice, costituita dal passaggio attraverso i cortili e il ponte levatoio, ma la sperimentazione, iniziata nel 1923, venne interrotta l’anno successivo per decisione di Mussolini. Tra il 1939 e il 1940 il giardino fu riportato a un disegno geometrico, con ampio uso di bosso nano e ligustro, secondo la linea culturale del regime fascista che affermava il primato del “giardino all’italiana”.
Il Padiglione di Lorenzo Santi, non più Cafehaus da fine Ottocento, per oltre sessant’anni fu sede della Società Canottieri Bucintoro, per diventare nel 1962 Air Terminal del nuovo aeroporto e da ultimo punto informativo dell’Azienda di Promozione Turistica. I Giardini negli ultimi decenni versavano in stato di abbandono per la carenza dei necessari interventi di cura e di manutenzione. Il pergolato era in rovina, il ponte levatoio inutilizzabile, la cancellata consumata dalla ruggine, un bunker di cemento armato, costruito durante la Seconda guerra mondiale, ne occupava l’area centrale, diverse strutture di servizio edificate negli anni si trovavano in condizioni di grave degrado.
Il 23 dicembre 2014 il Demanio ha affidato in concessione i Giardini Reali a Venice Gardens Foundation perché ne realizzasse il restauro e ne assumesse la cura e la conservazione nel tempo.